Il mutato indirizzo giurisprudenziale non comporta mai la rimozione di sentenze passate in giudicato

17-10-2012 11:02 -

Nel precisare che "la nozione di «diritto» («law»), utilizzata nell´art. 7, paragrafo 1, della CEDU, è comprensiva tanto del diritto di produzione legislativa che del diritto di formazione giurisprudenziale", la Corte Costituzionale ha affermato che un mutamento di giurisprudenza in senso favorevole al reo non impone la rimozione delle sentenze di condanna passate in giudicato contrastanti col nuovo indirizzo. Secondo la Corte Costituzionale, infatti, "l´irretroattività  della norma penale sfavorevole rappresenta uno strumento di garanzia del cittadino contro persecuzioni arbitrarie, espressivo dell´esigenza di «calcolabilità» delle conseguenze giuridico-penali della propria condotta, quale condizione necessaria per la libera autodeterminazione individuale: esigenza con la quale contrasta un successivo mutamento peggiorativo "a sorpresa" del trattamento penale della fattispecie. Nessun collegamento con la predetta libertà  ha, per converso, il principio di retroattività della norma più favorevole, in quanto la lex mitior sopravviene alla commissione del fatto, cui l´autore si era liberamente e consapevolmente autodeterminato in base al panorama normativo (e giurisprudenziale) dell´epoca: trovando detto principio fondamento piuttosto in quello di eguaglianza, che richiede, in linea di massima, di estendere la modifica mitigatrice della legge penale, espressiva di un mutato apprezzamento del disvalore del fatto, anche a coloro che hanno posto in essere la condotta in un momento anteriore".


Fonte: Corte Cost., sentenza n° 230 del 12 ottobre 2012