19 Aprile 2024
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I contratti di locazione ad uso non abitativo e l'emergenza coronavirus

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scritto da Giulio Ulacco il 16-04-2020 13:14
La pandemia da coronavirus ha comportato il fermo di molte attività produttive e, nei casi più fortunati, la riduzione del fatturato di tanti commercianti. I conduttori di immobili adibiti ad uso diverso da quello abitativo si stanno quindi trovando nella difficile situazione di doversi confrontare con contratti di locazione ad oggi non più onorabili alle condizioni pattuite e, d'altronde, i proprietari di immobili che in quei contratti hanno spesso una importante, quando non unica, fonte di reddito non sono spesso disponbili ad andare incontro alle esigenze dei loro contraenti.
Quale dunque la soluzione?
Se il conduttore non intende proseguire l'attività perché irrimediabilmente compromessa dalla situazione creatasi, gli gioverà sapere che l'art. 27 della L. 392/78 prevede il recesso per per gravi motivi, ossia il caso del conduttore che intenda sciogliere il contratto dando al locatore un preavviso di sei mesi. Se certamente la situazione economica derivante dalla pandemia può rientrare nei gravi motivi previsti dalla norma citata e comportare la cessazione dell'attività del conduttore, rimarrebbero comunque i sei canoni mensili di preavviso da corrispondere alle condizioni previste dal contratto; canoni per i quali il locatore potrebbe anche agire in giudizio, ed anche nel caso di pronta restituzione dell'immobile da parte del conduttore, ottendendo un decreto ingiuntivo ai danni di quest'ultimo nel caso di mancato pagamento.
L'art. 1467 cod. civ. prevede invece l'ipotesi della eccessiva onerosità sopravvenuta e la pretesa risoluzione del contratto senza obbligo di corrispondere il preavviso di sei mesi ed in questo caso, a fronte della richiesta di risoluzione del contratto da parte del conduttore perché non in più in grado, a suo dire, di adempiere al suo obbligo, il locatore può comunque offrire di rivedere le condizioni del contratto, con possibilità quindi di addivenitre ad un auspicabile accordo che garantisca la prosecuzione dell'attività d'impresa del conduttore e tuttavia tenga conto delle nuove esigenze economiche delle parti.
L'art. 1464 cod. civ. contempla l'ipotesi della impossibilità parziale sopravvenuta e la possibilità di riduzione della prestazione, ossia, nel caso che ci occupa, del canone di locazione. Questa ipotesi, tuttavia, appare un po' troppo forzata e di difficile sostenibilità in quanto accollerebbe la situazione scatenata dalla pandemia a fatto proprio del locatore, il quale dovrebbe cioè essere considerato, di qui la forzatura, come soggetto non in grado di adempiere all'obbligo, che su di lui ricade, di consegnare e mantenere il bene in condizione tale da essere utilizzato secondo l'uso convenuto.
L'art. 1258 cod. civ. prevede l'ipotesi della impossibilità parziale di rendere la prestazione dovuta, e quindi in questo caso il pagamento del canone, quando la stessa sia divenuta impossibile solo in parte: il conduttore si libera quindi dall'obbligazione eseguendo la prestazione per la parte ancora possibile e, superata l'emergenza, l'immobile sarà nuovamente e totalmente utilizzabile. ll provvedimento di chiusura delle attività commerciali di cui al Dpcm dell'11 marzo 2020 rende applicabile questa disposizione perché il divieto di esercitare l'attività determina sicuramente l'impossibilità per il conduttore di utilizzare l'immobile e la mancanza o forte contrazione degli incassi, dovuta alla sostanziale riduzione dell'attività imprenditoriale collegata alla riduzione della circolazione delle persone, comporta l'impossibilità di adempiere alla propria obbligazione, ossia il pagamento del canone per il tempo per il quale durerà l'emergenza sanitaria: il conduttore, in sostanza, non può essere ritenuto responsabile del ritardo nell'adempimento. Ciò non significa che svanisca per lui l'obbligo di pagamento del canone come previsto in contratto, ma significa che l'adempimento dello stesso, e quindi dei canoni nel frattempo non corrisposti, viene posticipato alla cessazione dell'impossibilità, e quindi alla fine dell'emergenza sanitaria e delle conseguenze economiche negative che essa ha comportato.
D'altronde, anche l'art. 1256 cod. civ., nel regolare i casi di impossibilità definitiva e temporanea della prestazione, prevede che "se l'impossibilità è solo temporanea, il debitore finché essa perdura, non è responsabile del ritardo nell'adempimento": in sostanza egli non sarà responsabile del ritardo e non gli si potranno chiedere gli interessi o le penali, ma dovrà comunque eseguire la prestazione appena la stessa torni possibile. Sul punto, va chiarito che la prestazione va considerata impossibile quando la situazione sopravvenuta non possa essere superata con lo sforzo diligente a cui il debitore è tenuto in forza dell'art. 1176 cod. civ., non essendo sufficiente una maggior difficoltà, ma non richiedendosi neppure un'impossibilità assoluta o oggettiva.
L'art. 91 D. L. 18/2020 (c.d. Cura Italia), in quest'ottica, introduce una disposizione che tende a rafforzare quanto già sostanzialmente previsto dai citati art. 1256 e 1258 cod. civ., considerando le conseguenze di un inadempimento qualora le stesse derivino dal “… rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto …” e precisando che tale situazione “… è sempre valutata ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1218 (responsabilità del debitore) e 1223 (risarcimento del danno) c.c. …” e ciò in relazione a “… eventuali decadenze o penali connesse a ritardi o omessi adempimenti”. Il Giudice eventualmente chiamato a pronunciarsi sull'inadempimento del pagamento del canone da parte del conduttore, anche ai fini dello sfatto e della risoluzione del contratto, non potrà quindi non considerare se il mancato pagamento sia in qualche modo collegato alle misure di contenimento della pandemia: alle parti l'onus probandi.
È quindi da escludere, pur nelle oggettive difficoltà economiche del conduttore, un suo automatico diritto ad una riduzione del canone contrattualmente previsto, anche se ciò non toglie che il conduttore possa comunque chiedere al locatore la riduzione del canone, anche soltanto per il periodo di crisi; nel caso di rifiuto del locatore ad addivenire ad un accordo, il conduttore potrà allora convocare lo stesso in mediazione e successivamente convenirlo in giudizio, sostenendo l'impossibilità parziale sopravvenuta o l'eccessiva onerosità sopravvenuta.
Nel caso invece di un auspicabile accordo sulla riduzione del canone, è bene sapere che non sono dovute spese di registrazione e l'atto è esente dal bollo: nella scrittura dell'accordo (che potrà anche essere scambiata via mail per evitare gli ormai temuti spostamenti...) bisognerà fare riferimento al contratto in essere, indicando i dati di locatore e conduttore, riportare il canone annuale inizialmente stabilito, l'ammontare ridotto sul quale ci si è accordati e il numero di mesi per i quali il conduttore pagherà l'importo più basso, senza che si debba poi comunicare nulla all'Agenzia delle Entrate alla ripresa del pagamento regolare: con la registrazione dell'accordo il proprietario pagherà le imposte solo su quanto effettivamente percepito, riducendo anche l'ammontare delle imposte da pagare in acconto con la prossima deuncia dei redditi.
È in ogni caso opportuno sapere che il citato D. L. n. 18/2020 prevede:
- all'art. 65, un credito di imposta pari al 60% dell'ammontare del canone di locazione, relativo al mese di marzo 2020, di immobili rientranti nella categoria catastale C/1– Negozi e botteghe (credito d'imposta riconosciuto soltanto sui canoni effettivamente pagati, come già chiarito dall'Agenzia delle Entrate);
- all'art. 103, comma 6, la sospensione fino al 30 giugno 2020 dell'esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, anche ad uso non abitativo.

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